QUANDO SAPEVO ANCORA SCRIVERE, SCRIVEVO COSI '....

 



ITALIAN ONLY


1

Il paese emergeva dalla macchia scura dei boschi disegnando un fitto labirinto di tetti rossi che si allungava, a est, verso i frutteti e le vigne e, a nord-ovest, verso il grande corpo roccioso del vulcano. Strati infiniti di lave antiche e moderne -l’ultima eruzione che aveva minacciato l’abitato risaliva a una ventina di anni prima- costituivano le radici sulle quali si sviluppava la vita di uomini e donne tenaci, che ogni giorno regalavano ai forestieri parte della propria storia fatta di sapori, profumi, accenti musicali, tremori, fuoco e muri di pietra nera.

Dietro uno di questi muri, appena cinquanta metri dopo il cartello stradale che accoglieva i turisti con la scritta “BOSCOGRANDE ETNEO – BENVENUTI!”, sorgeva Villa Russo-Grifo. Circondata da un bel giardino ombreggiato da pini e castagni, la sobria palazzina rosa era stata, per quasi due secoli, residenza estiva di una nobile famiglia catanese. Quindi, in tempi meno gloriosi, era divenuta il rifugio permanente solo di alcuni dei suoi membri e adesso ospitava l’ultima discendente: Agata Russo-Grifo, vedova di Luigi Belfiore.

Settantadue anni molto ben portati, un viso ancora bellissimo, gli occhi limpidi e orgogliosi, Agata sapeva che il nome dei Russo-Grifo sarebbe finito con lei ma era altrettanto consapevole che, finché fosse vissuto qualcuno con una goccia del suo sangue in corpo, almeno la casa … quella casa di montagna, ultima vera proprietà rimasta … non sarebbe andata perduta.

Purtroppo, non l’avrebbe più avuta Federico, il suo primogenito, morto ad appena vent’anni ormai tantissimo tempo prima; Antonietta e Anna, che si erano sposate e abitavano lontano, nemmeno la volevano. Però c’era Vittorio, con la moglie Maria e i due ragazzi.  Loro vivevano lì con lei. Loro erano la speranza.

Per questo accettava tante cose e su altre chiudeva benevolmente un occhio, se serviva a tenerseli ben stretti. Non aveva detto nulla, per esempio, quando Vittorio e Maria, entrambi fotografi, avevano ristrutturato i vecchi magazzini e le ex stalle, al piano terra, ricavandone un ampio garage e uno studio nel quale lavorare. Non aveva protestato quando avevano cambiato i mobili classici del salotto con altri più moderni e, secondo lei, orribili! Né quando avevano ingrandito l’orto sul retro o quando avevano comprato quel pericolosissimo motorino ai figli. Ma sul fatto di trasformare la mansarda in un appartamento per le vacanze, B&B o comunque volessero chiamarlo … eh no! In quel caso era stata irremovibile.

La casa era antica e richiedeva manutenzione continua, certo. Non erano più ricchi come una volta, sicuramente. Un affitto era un’entrata preziosa in più, ovvio. Ma non voleva affidare parte della sua proprietà a decine di estranei di passaggio, che usavano quelle stanze per una settimana al massimo e poi sparivano per sempre. No, stavolta non avrebbe accettato l’idea di suo figlio. Niente turisti. La mansarda sarebbe stata affittata a un inquilino stabile, che durasse almeno un anno o due e soprattutto che fosse di suo gradimento. Ma proprio quest’ultima condizione era diventata l’ostacolo principale.

Erano passati tre anni da quando il cartello “AFFITTASI” aveva fatto la sua comparsa sul cancello di Villa Russo-Grifo e ancora nessun candidato aveva superato il severissimo esame di Agata. La faccenda era diventata talmente assurda che i figli di Vittorio, Lorenzo ed Emma, ormai si divertivano a scommettere su ogni nuovo colloquio.  (....)

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2

La bambina più grande aveva i capelli castani sciolti sulle spalle e fermati da un diadema di plastica pieno di stelle rosa. Aveva nove anni ed era alta, per la sua età, tanto che riusciva a fissare il fratello maggiore senza particolare timore. Gli occhi bellissimi, castani chiari, quasi color dell’ambra, passavano rapidi da lui alla sorella minore mentre le mani stringevano uno “scettro magico”, rosa pure quello.

- Sei pronta, Principessa Mixi ? – domandò sottovoce. La sorellina, bassina e bruna, con due buffe treccine legate da nastri colorati, strinse i pugni e annuì.

- Quando vuoi tu, Principessa Trixi.

- E allora, via! Non potrai mai vincere, Mago della Paura.

Il “mago” dovette concentrarsi parecchio per non scoppiare a ridere. In realtà si chiamava Federico e non faceva affatto paura … al contrario, attirava gli sguardi della gente perché era davvero un bel ragazzo. Alto, forte, atletico, sfidava il mondo con due occhi verdi pieni di orgoglio, ombreggiati dai folti capelli castani chiari che, sotto la luce, si riempivano di setosi riflessi rossicci. L’orecchino da pirata al lobo sinistro e una piccola “F” coronata, tatuata nella parte interna del polso sinistro, completavano il suo fascino. Molto presto avrebbe compiuto diciannove anni. Molto presto sarebbe cambiata la sua vita, totalmente. Per un breve istante si domandò come avrebbe fatto a non morire di nostalgia per le sue sorelline, quando sarebbe stato lontano, e quel pensiero rapido e doloroso gli dipinse in viso un’aria ancora più seria.

- Attenta al suo terribile Raggio Solleticante, Principessa Mixi. – disse la bambina più grande, credendo che stesse per attaccare. La piccola si strinse appena a lei.

Federico non poté più trattenersi. Gli scappò un sorriso.

- No, niente solletico questa volta – disse poi, tornando serio come il suo ruolo gli imponeva – La sfida sarà diversa.

Le bimbe si scambiarono un’occhiata carica di curiosità.

- Stavolta sarà una gara di resistenza – disse il fratello maggiore e tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans un CD. Si allungò verso il tavolino sul quale era sistemato il piccolo stereo portatile e inserì il disco. Erano sul terrazzino di casa, con l’aria tiepida dell’estate intorno, la città di Trapani distesa come un tappeto davanti ai loro occhi e il profumo del mare che li raggiungeva insieme alla brezza di tanto in tanto. Il cielo era rosa, il sole una enorme sfera arancione che cercava riparo tra le onde, all’orizzonte. La luce del tramonto sembrava infiammare i capelli di Federico mentre, chinandosi sulle bambine, diceva con la voce appositamente roca:

- Vediamo se riuscite ad ascoltare questa musica senza ballare, senza muovere nemmeno un muscolo. Chi non ce la fa e perde assaggerà il terribile potere del Mago della Paura.

Le due “principesse” ridacchiarono ma subito dopo tornarono serie e annuirono. Dallo stereo partirono le prime note di una canzone hip-hop. Inizialmente sembrava una melodia delicata ma poi si scatenarono le percussioni e Federico le seguì, lanciandosi in un ballo libero e selvaggio. Il ritmo era favoloso, la danza del ragazzo coinvolgente. Impossibile resistere … . La piccola cominciò a saltellare quasi subito, mentre la sorella più grande resistette ancora un minuto prima di cominciare a dimenarsi pure lei.

- Lo sapevo! Adesso vi distruggooo! – gridò allora il Mago della Paura e si lanciò su di loro. Finirono per terra, le bambine agili come anguille che guizzavano da tutti i lati e il fratello che tentava di bloccarle, tra prese al volo e solletico. Le risate si mescolarono alla musica, mentre il sole spariva definitivamente dentro il mare.

Fu la voce della mamma a mettere fine al gioco.

- Oh, insomma, che fate buttati per terra?!

Marina Valenti arrivò di corsa e ripescò le figlie dalla mischia, aiutandole a rimettersi in piedi. Si rialzò anche Federico e spense lo stereo.

- Ma io non lo so, va’ … – diceva la donna cercando di sistemare i capelli delle bambine – Federico, almeno tu potresti dare il buon esempio, no? I grandi non si sporcano i vestiti rotolandosi nella polvere! Vergogna, monelle!

- Noi non siamo grandi, mamma! – protestò la Principessa Mixi, tirandosi una treccina.

- Cioè, siamo grandi abbastanza per avere il telefonino ma ci piace a volte fare giochi da bambini, così, per accontentare Ico! – corresse il tiro la Principessa Trixi che già tormentava i genitori per avere un cellulare e ci teneva a dimostrare loro di essere cresciuta!

- Fatima, non farmi venire i cinque minuti!

- Non devi chiamarla Fatima, lei è Trixi! – ci tenne a precisare la sorella più piccola, rovinando di nuovo i piani della maggiore che infatti sospirò e si lamentò:

- Uffa, Yasmine! Il gioco è finito, comportati da bambina matura!

Su quel “bambina matura” Federico scoppiò a ridere e la mamma lo fulminò con lo sguardo. Poi, rivolta alle ragazzine:

- Di corsa in bagno, voi due. Tra dieci minuti voglio trovarvi pronte per la doccia.

- Ma mamma …

- Senza “ma” e “mi”. Filare! Forza!

Le due ex principesse corsero dentro casa, brontolando. Marina sospirò, passandosi una mano tra i capelli castani, folti e setosi come quelli del figlio. Pure gli occhi Federico li aveva presi da lei, identici. Le somigliava moltissimo e questa era una consolazione anche se quei pochi tratti del padre che, di tanto in tanto, venivano fuori le pungevano ancora l’anima.

Il ragazzo rise di nuovo e lei lo colpì sulla spalla con un paio di pugni leggeri. Poi lo strinse in un abbraccio e si mise a cullarlo dolcemente. La gente che non li conosceva li scambiava spesso per fratello e sorella … in fondo c’erano appena vent’anni di differenza tra loro. Marina lo aveva avuto nel periodo più brutto della sua giovane vita, dopo essere fuggita da Caltagirone ed aver trovato un rifugio all’estremo ovest della Sicilia. Allora credeva di non farcela, ma con la forza e l’energia che quel bambino le aveva dato era riuscita a cambiare il proprio destino. Poi erano arrivati anche Ahmed e le figlie che aveva avuto da lui. Alla fine era riuscita a dare un senso alla sua vita e adorava la famiglia che si era costruita, ma il legame con il suo Ico era sempre speciale.

- Perché non cambi idea e rimani? – gli domandò, separandosi dall’abbraccio. 

- Lo sai perché, ma’ – rispose lui, pizzicandole una guancia.

- La Geologia puoi studiarla pure a Palermo, che è più vicina.

- Ma a Palermo non c’è un vulcano incredibile come l’Etna. Marina sospirò e strinse ancora il suo ragazzo.  (....)

Catania mi fa paura. Non sono sicura che tu ci vada solo per l’Etna.

Federico studiò il viso di sua madre con uno sguardo attento e dolce. Poi si accigliò e rispose, sicuro:

- Stai tranquilla, che non lo cerco lui. Perché dovrei cercare un padre che non ha mai cercato me?  (.....)

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3

(....) Lorenzo sbuffò e mollò la presa. Quel dannato cespuglio era ben radicato, non bastava scuoterlo e tirare per bene il tronco per strapparlo via. Avrebbe dovuto perderci tanto tempo e la cosa lo scocciava a morte! Se solo avesse seguito l’esempio di sua sorella e fosse andato pure lui una settimana al mare dai cugini … a quest’ora non sarebbe stato lì a fare il giardiniere! E’ che lui non lo concepiva proprio il mare, in settembre, nemmeno se faceva caldo. Settembre era il mese in cui tutto ricominciava: scuola, lavoro, vita sociale. Anche se lui ormai si era diplomato, un lavoro non lo aveva e la vita sociale non l’aveva mai interrotta!

Si tirò su e si asciugò il sudore, mentre dalla strada giungeva il ruggito di una moto. Era vicino, molto vicino. Si girò verso il cancello aperto della villa proprio mentre la motocicletta vi si fermava davanti. Dopo un attimo di esitazione il tipo che la montava diede altro gas ed entrò nella loro proprietà. Lorenzo istintivamente si spostò di lato mentre quello, con molta calma, spegneva il motore e abbassava il cavalletto. Scese dal mezzo e si tolse il casco, liberando una massa di capelli castano-rossicci.

Lorenzo gli si avvicinò. Il nuovo arrivato osservava con troppo interesse la casa. Possibile che non avesse mai visto una villa di campagna, prima? Certo, l’edificio meritava: l’intonaco rosa chiaro, le persiane antiche, un piano terra con le arcate che un tempo nascondevano le stalle, la scala esterna di pietra che saliva fino al terrazzo del primo piano e, più su, la mansarda. O forse stava ammirando il giardino e gli alberi alti che sfioravano il tetto?

- Scusa – decise di intervenire il ragazzo. L’altro si voltò.

- Ciao.

- Sì … ehm, ti posso aiutare? Cerchi qualcuno?

- Oh sì, grazie. Cerco la signora Agata Russo-Grifo Belfiore. Sono qui per l’affitto.

Lorenzo si accigliò.

- L’affitto della mansarda?

- Sì.

- E stai cercando Agata Russo-Grifo Belfiore.

Il ragazzo della moto annuì.

- Sicuro? Non è che per caso cercavi Vittorio Belfiore … o Maria? No?

- No.

- No. Tu vuoi proprio mia nonna Agata.

Gli occhi verdi del giovane sconosciuto sembrarono ridere da soli.

- Sì – rispose, con un’alzata di spalle – E’ lei che mi ha dato l’appuntamento.

- Veramente?

Quello rise: – Senti, adesso mi stai mettendo paura … che c’è di strano? Che ha che non va tua nonna?

- No, niente. Scusami, non mi sono presentato … io sono Lorenzo Belfiore.

- Federico Valenti, piacere.

Si strinsero la mano.

- Comunque … devi … devi salire su per quella scala e suonare il campanello del portone di ingresso. Se davvero ti sta aspettando ti aprirà lei.

- Perfetto, grazie.

Federico si diresse verso i gradini di pietra e Lorenzo si affrettò a pescare il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Inviò un messaggio rapidissimo alla sorella:

«TI STAI PERDENDO LA FINE DEL MONDO! PEGGIO PER TE!»

Dopo di che tornò ad accanirsi contro il dannato cespuglio che doveva estirpare. Prima finiva, prima avrebbe assistito a quel colloquio storico.

- Perché lo strappi? – domandò la voce del motociclista. Lorenzo alzò il capo e si accorse che si era fermato e lo fissava, accigliato.

- Il cespuglio, dici? Mia nonna non lo vuole più vedere. Doveva fare fiori bellissimi ma non li abbiamo mai visti e da qualche settimana le foglie stanno diventando gialle. Secondo lei è morto e qui, all’ingresso del giardino, fa brutta figura.

Federico tornò sui suoi passi e si fermò davanti al cespuglio. Lanciò un’occhiata a Lorenzo, poi si inginocchiò e immerse le mani dentro la terra, accanto alle radici.

- Scusa, ma che …? – disse Lorenzo con un filo di voce. L’altro ragazzo sospirò, quindi si rialzò e si pulì le mani battendole l’una contro l’altra.

- La terra è buona, qui. La pianta non sta morendo. Non la sradicare … dalle ancora qualche giorno. Ciao.

Si allontanò di nuovo e Lorenzo fece due passi indietro, spaventato. Il cellulare in tasca mandò il segnale di un messaggio. Due secondi dopo lesse le parole di Emma:

«CHE FINE DEL MONDO? DI CHE PARLI?»

Digitò la risposta alla velocità della luce.

«LA NONNA STA PER AFFITTARE LA MANSARDA A UN PAZZO!»

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4

Emma accese la sigaretta e l’odore di fumo si confuse per un attimo con quello, più intenso e gradevole, dei pini. Tra le fronde scure, in alto, scintillavano nitidissime le stelle mentre abbassando lo sguardo e spiando fra i tronchi dei vicini castagni si vedevano le luci del paese. L’aria della notte era ancora tiepida,  anche se l’autunno si avvicinava a grandi passi, e stando seduta sul tetto si percepiva di più per via del residuo di calore che emanavano le tegole.

Emma tirò una boccata e mandò fuori il fumo quasi subito, con una smorfia. Non le piacevano proprio le sigarette ma quasi tutti, a scuola sua, fumavano. Fumava il suo compagno di banco, la sua migliore amica e pure quella stronza di Giada che le aveva soffiato il fidanzato! Fidanzato che ovviamente aveva sempre fumato. Magari se avesse cominciato anche lei … se fosse stata più “fica”, più sicura di sé … chissà, lo avrebbe riconquistato? Doveva riuscirci prima che la vita li dividesse del tutto. Perché lui, Nicola, si era già diplomato e forse non sarebbe rimasto a lungo a Boscogrande. Aspirò un’altra boccata e un’altra smorfia le contrasse il viso. Fu in quel momento che, all’improvviso, si accesero le luci delle finestre che davano sul balconcino della mansarda. Emma ebbe appena il tempo di pensare “oh, cavolo!” mentre la porta-finestra si apriva, cigolando.

Eccolo là, il nuovo inquilino.

Ne aveva sentito parlare così tanto che era stata tentata di interrompere la vacanza dai cugini per correre a vederlo. Alla fine, però, non lo aveva fatto. Era rimasta a godersi il mare e la compagnia … anche perché le storie che raccontava Lorenzo su quel tizio erano talmente assurde che si era convinta che fosse uno scherzo, che in realtà volesse prenderla in giro per vedere in diretta la sua faccia quando avrebbe scoperto che non c’era nessun inquilino. Credeva di aver perso la loro storica scommessa, invece aveva vinto! E suo fratello era stato onesto e le aveva consegnato le chiavi del motorino per un mese (la vacanza pagata alle Eolie, però, era rimasta solo una promessa per il futuro, dato che soldi in cassa al momento non ce n’erano!).

Ora lei era rientrata già da un paio di giorni, ma non aveva ancora incontrato questo misterioso Federico Valenti, perché lui usciva di casa prestissimo e tornava molto tardi. Era stato impegnato con la ricerca dei libri per l’università, a Catania, e se non era in città era sempre sull’Etna a far foto o passeggiate. Così almeno diceva nonna Agata, davvero molto attenta e interessata alle attività di quel ragazzo. Sembrava proprio stregata da lui!

In ogni caso, Emma quella sera non riusciva a dormire e, dato che dal piano di sopra non proveniva alcun rumore, si era convinta che il tipo non ci fosse o non fosse ancora rientrato, così era tornata a rifugiarsi su quel tetto che amava tanto … E ora invece ecco che sbucava di colpo dal nulla!

Si appiattì sulle tegole, schiacciando e spegnendo la sigaretta, e rimase a osservarlo.

La luce che proveniva dall’interno della mansarda illuminava Federico a metà. Era praticamente nudo, indossava solo dei boxer … o forse un costume da bagno? … e camminava scalzo, su e giù per il terrazzino. Vide che aveva un bel fisico, capelli molto folti, un bel sorriso. Teneva il cellulare fermo tra spalla e collo in una posizione anomala e scomoda, mentre con le mani si accendeva una sigaretta. Parlava e rideva. Tirò una boccata e, dopo aver posato l’accendino su uno dei vasi da fiori che ornavano il balcone, si appoggiò alla ringhiera e riprese in mano il telefono. Cominciò a dondolarsi avanti e indietro.

- Sì, stai tranquilla … faccio il bravo! Certo, che credi? No, non ci penso nemmeno. No, ti ho detto! – e giù un’altra risata.

Emma si accigliò e strisciò un poco più avanti. Federico tirò un’altra boccata dalla sigaretta e sospirò: – Va bene, sì. Sì, è una promessa. Adesso vai a dormire che è tardi. Certo che mi manchi da impazzire … un bacio grande. Ciao. Sì, ciao, ciao. Ti voglio bene pure io. – spense il cellulare e lo posò sul vaso, accanto all’accendino. La luce di casa gli illuminava la schiena e i capelli, mentre il viso era rivolto verso il buio della notte. Emma non poteva vederlo, ma intuì che era diventato triste. Mentre osservava il puntino rosso della sigaretta che si accendeva e si spegneva, si rese conto che lui non aveva la minima intenzione di rientrare presto, dunque lei era bloccata sul tetto chissà fino a quando. A meno che …

- Che marca fumi? – domandò a voce alta e chiara.

Il ragazzo sobbalzò, con un singhiozzo, e si rannicchiò nell’angolo tra la ringhiera e lo spiovente, il bel viso stravolto dalla paura e gli occhi che cercavano, rapidi, nel buio.

- Chi c’è? – esclamò, ansimando.

- Scusa, non ti volevo spaventare … è che non sapevo come … annunciarmi, diciamo così. – Emma si fece ancora più avanti, sporgendosi dal bordo del tetto. La luce proveniente dall’interno le illuminò il viso e lei sorrise.

- Oh cazzo! – esclamò Federico e, gettata la sigaretta per terra, corse in casa come un razzo. Emma allungò una gamba, trovò la scaletta scassata che usava per arrivare dal balconcino alle tegole e scese.

- Scusami, veramente! – ripeté, mentre il ragazzo usciva di nuovo fuori, avvolto in un accappatoio. Aveva le guance rosse e il respiro ancora affannato. Emma non poté frenare un pensiero veloce come un lampo … accidenti, era bellissimo!

- Da dove diavolo sbuchi tu? – domandò lui.

- Dal tetto qui sopra. Piacere, sono Emma Belfiore. L’altra nipote di Agata …

- Ah sì, quella che era in vacanza.

- Quella che era in vacanza, già. Ma ora sono tornata.

- Federico Valenti … o quel che ne resta, dopo il colpo che mi hai fatto prendere – si presentò il ragazzo. Si strinsero la mano destra. Emma notò che lui faceva uno strano gesto con la sinistra, strofinava tra loro il dito medio e il pollice, come se dovesse schioccare le dita ma senza far rumore. Sembrava una sorta di tic nervoso.

- E’ normale che ti trovassi sul tetto a quest’ora di notte? – chiese Federico, raccogliendo la sigaretta da terra e spegnendola dentro un sottovaso.

- Be’ … sì, ogni tanto mi piace salire fin lassù. Con mio fratello lo facevamo spesso, prima. Cioè, prima che la mansarda fosse affittata. Non lo farò più.

- F-Figurati, per me … arrampicati sul tetto quando ti pare. Ma prima avvisa, per piacere, se no mi viene un infarto.

- Non credevo fossi in casa, altrimenti non avrei mai osato, giuro!

- Ero in camera da letto, stavo per andare a dormire. Ma poi ha squillato il telefono e siccome là non prende molto bene sono uscito qui fuori per … .

- Sì, ti ho sentito. La fidanzata?

- No, che fidanzata! Parlavo con mia sorella.

- Oh, hai una sorella?

- Ne ho due: Fatima, di nove anni, e Yasmine, di otto.

- Piccoline!

- Già.

Scese un silenzio imprevisto, tra loro. Federico si schiarì la voce con un colpetto di tosse, Emma si mise a giocherellare con una lunga ciocca riccioluta. Poi indicò la sigaretta nel sottovaso:

- Ti ho fatto cadere la sigaretta, scusami anche per questo.

- No, anzi … meglio così. Sai, sto cercando di smettere.

- Davvero? – Emma sorrise – Che buffo, io invece sto cercando di cominciare.

Anche Federico sorrise.

- Non lo fare, ascolta me. Non ti conviene.

- No, dici? Tu fumi da molto?

- Ho iniziato tre anni fa, così, tanto per curiosità. Non sono mai stato veramente dipendente … voglio dire, posso rimanere senza fumare anche un giorno intero, volendo. Però fumavo un sacco lo stesso. Sai, gli amici…

- Lo so, lo so – Emma annuì e sospirò.

- Poi, lo scorso inverno, mi sono beccato l’influenza nella sua forma peggiore. – continuò Federico – E’ diventata bronchite e là ho creduto che i miei polmoni fossero del tutto partiti. Così, quando sono guarito, ho deciso di provare a smettere. Piano piano … ci sto riuscendo.

- Non deve essere facile.

- Non lo è. Quindi vedi di non cominciare nemmeno.

- Va bene, grazie del consiglio.

Scese di nuovo quel silenzio improvviso. Ma stavolta non era pesante, anzi, molto dolce e gradevole. Quando parlarono lo fecero insieme:

- Posso offrirti una sigaretta?

Scoppiarono a ridere.

- Menomale che dovevi smettere! – disse Emma.

- E che tu non dovevi nemmeno iniziare – completò Federico. Fu lei a tirare fuori il pacchetto e, da lì, una sigaretta.

- Dai, ce ne fumiamo una in due … così ci alleniamo a smettere insieme.

- Uhm! Non è un gesto un po’ troppo intimo? – domandò lui. Emma si bloccò con l’accendino a mezz’aria. Ci rifletté seriamente per un attimo e poi scosse il capo.

- No, è un gesto di amicizia. Ci vuole, no? Dato che vivrai sulla mia testa per i prossimi due o tre anni.

- Ok, amica. Grazie.

Lei accese la sigaretta e tirò le prime tre boccate, tra smorfie e colpetti di tosse. Poi la passò a lui, che la fumò con molta più calma.

- Ti posso chiedere un favore enorme? – disse Emma, dopo averlo osservato per un po’. Federico annuì.

- Non fartelo scappare di bocca che fumo. A casa mia non lo sanno.

- Affare fatto. E tu non farti scappare di bocca che mi hai visto in mutande.

Emma arrossì e rise. Rise anche Federico: – Che figura di merda! – aggiunse poi, passandosi una mano tra i capelli.

- Vieni, ti faccio vedere dove nascondo tutto l’armamentario! – disse lei, dirigendosi verso la scaletta di legno. Si arrampicò e incoraggiò di nuovo il suo amico a seguirla, dato che lui sembrava perplesso. Federico spense la sigaretta e salì sulla scala scassata dietro di lei. Poco dopo erano seduti entrambi sulle tegole e sotto una di queste Emma nascose accendino e pacchetto di sigarette.

- Ecco perché te ne stai sul tetto, nonostante un balcone e due terrazze grandi quanto una casa, eh? – disse il ragazzo – Per custodire i tuoi tesori.

- No, non solo per quello – disse Emma, arruffandosi i capelli. Allungò un braccio e indicò un punto nel buio – Sai, quando l’Etna è in eruzione da qui le esplosioni si vedono magnificamente! E quando c’è la festa di Santa Lucia, da qua sopra i fuochi si ammirano meglio. Dai balconi e dalle terrazze ci sono di mezzo gli alberi a nascondere il panorama … ma da quassù …

Emma sospirò e si strinse nelle spalle.

- Vabbé, da ora in poi te li godrai tu.

- Ehi, il tetto è tuo, mica mio. Sarai sempre la benvenuta, qui. – assicurò Federico. Emma si voltò e gli regalò un sorriso bellissimo. Il silenzio li avvolse ancora, ed era sempre più piacevole. Si sentivano vicini come se si conoscessero da anni, come se fossero due vecchi amici d’infanzia cresciuti insieme.

- Adesso che ho condiviso con te i miei segreti – iniziò Emma poco dopo – dovrai condividere anche tu i tuoi.

- I miei segreti? Io non ho segreti. – disse Federico.

- Sì che ce li hai. Mio fratello ha detto che hai resuscitato una pianta!

- Che?! – Federico scoppiò a ridere.

- Dice che hai messo le mani nella terra e la siepe della nonna, che stava morendo, si è ripresa all’istante! Non è vero? Se l’è inventato?

- Non se l’è inventato, solo che non … non ho resuscitato niente. La pianta non sarebbe morta comunque, perché la terra era ancora ricca di energie e di nutrimento, là sotto. Ho detto a tuo fratello di darle un po’ di tempo, tutto qua.

- Sì, d’accordo, quello che vuoi. Ma resta il fatto che tu infili le mani nella terra di un giardino e capisci tutte ‘ste cose al volo. Ma che sei, un sensitivo?

Federico si strinse nelle spalle e non rispose.

- Oh … non è giusto! Stiamo barattando segreti. Dai, dimmi il tuo! – lo pregò lei.

- Anche se te lo dico non ci credi.

- Che ne sai?

- Se ti dico che ho una sorta di  “potere” nelle mani … che sento le vibrazioni del suolo … tu lo vorresti dimostrato, sicuro. Ma non è una cosa che si può dimostrare così, a comando. Che facciamo, andiamo in giro per la montagna a infilare le mani ovunque finché non trovo la prova per farti contenta? – Federico scosse il capo – No, non ci crederesti. Lascia perdere.

- Ti stai facendo un film da solo … io non ho detto proprio niente.

- Comunque, è questo. Riesco a percepire i movimenti della terra con le mani.

- Perciò sei venuto a vivere qui, su un vulcano? Per metterti alla prova?

- Anche, sì.

- Ho capito – Emma si mordicchiò il labbro e attese che lui aggiungesse qualcos’altro. Dato che rimaneva in silenzio azzardò un’altra domanda.

- Dice la nonna che tuo padre adottivo è un arabo.

Federico ebbe un piccolo sussulto.

- Lui … è tunisino, in realtà.

- E come mai ti ha adottato?

La mano sinistra del ragazzo ricominciò quel movimento nervoso delle dita. Un sospiro lungo.

- Senti … di questo non vorrei parlare, per adesso. Non ti seccare.

- Oh, sì. Va bene, scusa. – mormorò Emma, mortificata. Rimasero in silenzio di nuovo e stavolta era tornato a pesare un forte imbarazzo. Fu Federico a spezzare la magia di quell’incontro, un attimo dopo, dicendo con la voce un po’ tremante:

- Io torno dentro. Sto sentendo freddo, adesso.

Emma sospirò e annuì:

- S-Sì, vado anch’io. Devo dormire un po’, che domani ricomincia la scuola.

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