RACCONTI 1 - L'Isola di G è uno di quei rari posti ...
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APPUNTI PER ARTICOLO “INTERNATIONAL GEOGRAPHIC EUROPE”. PRIMA REGISTRAZIONE.
L’isola di G è uno di quei rari posti del mondo dove tutto sembra funzionare bene. Dove si sta bene. Dove la vita ti soddisfa. Un posto magico, insomma, dove chiunque vorrebbe abitare … ma dove pochi, in realtà, rimangono davvero.
Perché nonostante la perfetta armonia che caratterizza questa piccola nazione - situata “da qualche parte nel Mediterraneo”, tra Africa e Europa - la tentazione del benessere senza responsabilità, dei soldi facili e del divertimento senza regole cattura molti, che spesso vanno a cercare tutto ciò altrove.
I giovani di G amano viaggiare, scoprire, esplorare. E, dopo aver conosciuto le luci, gli orizzonti e i ritmi travolgenti di Roma, Londra, Parigi, Berlino o New York diventa difficile, per loro, tornare a casa. Vista da fuori, se hai vent’anni, la vita di G può sembrare noiosa. In realtà è tutto tranne che questo. E solo chi deciderà di tornare, di restare, si renderà conto di quanto è incredibilmente FORTUNATO.
Che cosa ha di speciale quest’isola?
Geograficamente, ha una posizione stramba. Un po’ lontana dalle rotte navali classiche. Non ci passi per caso, devi proprio andarla a cercare per trovarla! Certamente più piccola della Sicilia, molto più grande di Malta, ha la forma originale di un granchio … con una grande baia che si apre a sud-est (nome suggestivo, in arabo: Alshams, baia del sole) sulla quale si affacciano da un lato la capitale - Ualmedina - e dall’altro la cittadina di Porto San James (scritto proprio così, metà in italiano e metà in inglese!). Sul lato opposto dell’isola, costa nord-ovest, si innalza il vulcano Gebel al Nur … cioè Montagna di Luce, in arabo. Alto più di 900 metri, 960 per essere esatti, ha un grande cratere sul fondo del quale bolle continuamente un lago di lava. Proprio il bagliore del fuoco nella notte è all’origine del suo nome. E, come avrete capito, pure del nome dell’intera isola!
Non erutta spesso, e quando lo fa emette rare esplosioni e lunghe colate di lava che di solito si riversano in mare. I centri abitati si trovano al riparo dal pericolo, grazie a una catena di piccoli monti - antichi crateri spenti - situati ai piedi del vulcano, che fanno da barriera. Li chiamano i Monti Oscuri.
Le cittadine a ridosso del Gebel al Nur sono Akdara (dall’arabo “akhdar”, verde), che sorge appena fuori da un bellissimo bosco, e Guardiana, affacciata a nord, come a sognare l’Europa che da qui sembra lontana, anche se non lo è.
Il clima è felice, a G.
Il sole e le temperature gradevoli resistono quasi tutto l’anno. Ma pure nella stagione più fredda - che qui va da gennaio a marzo - si sta bene. L’isola offre dei panorami e delle esperienze stupendi. Il turismo dovrebbe “sfruttare” di più questa meta, sebbene non sia tra le più classiche del Mediterraneo. E poi … anche se non sembra, c’è qualcosa di “molto inglese”, qui. Io sono un po’ di parte, chiaramente, e forse vedo quello che non esiste. Ma nonostante la storia mi dia torto (gli inglesi hanno governato G per cento anni appena, tra il 1790 e il 1898, mentre per secoli se la sono contesa con uguale determinazione italiani e tunisini, che hanno lasciato sicuramente tracce più profonde nella cultura locale), io sento davvero “aria di casa”, quaggiù. Ecco perché devo investigare e capire. E, dunque, rimanere un po’ di più.
PARENTESI FUORI ARTICOLO: c’è una bambina bellissima che mi ascolta mentre registro queste note e mi guarda come se capisse tutto. Non credo sia possibile. A proposito di cultura, qui la gente parla due lingue ufficiali: italiano e arabo. E anche un dialetto buffo, che ricorda il maltese o il siciliano. Ma, nonostante quei famosi cento anni sotto il governo di Sua Maestà Britannica, con l’inglese hanno davvero poco a che fare. Quindi lei non mi può capire.
Vero, bimba, che non mi capisci?
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All’inizio quell’uomo buffo … alto, lungo, magro come una matita! … non aveva attirato più di tanto la sua attenzione. Se ne stava lì, seduto sulla sabbia scura della spiaggia, con la giacca buttata sulle spalle, la camicia appena aperta sul collo e scarpe e calzini sistemati accanto allo zaino; le dita dei suoi lunghissimi piedi nudi giocavano irrequiete con i mucchietti di granelli umidi.
Lei lo aveva fissato per un attimo - era biondo e bianchissimo, sembrava fatto di latte! - e poi aveva pensato che era semplicemente strano, come quasi tutti gli adulti.
Ed era passata oltre, saltellando.
I sassetti colorati che avrebbe trovato di lì a poco, scavando sulla battigia o appena più in là, vicino alle rocce lucide in fondo, erano di sicuro molto più interessanti di lui!
Sentiva lo sguardo della mamma addosso, mentre si inginocchiava e immergeva le mani nella sabbia. Anche se era lontana non la perdeva mai di vista, lo sapeva. E quando l’avrebbe chiamata per tornare, lei avrebbe dovuto farlo … punto e basta! C’era una canzone che le cantava sempre, per ricordarle di essere obbediente. La stessa canzone che cantava anche nonna Jane, quando andavano a trovarla nella sua casetta blu, lassù nel suo paese lontano e freddo. Aspetta, com’era … ?
Fu in quel momento, mentre cercava di ricordare la canzone dell’obbedienza, che il buffo uomo della spiaggia catturò di nuovo la sua attenzione. Aveva iniziato a parlare da solo! E parlava nella stessa lingua di mamma e di nonna … in inglese! Questa cosa era davvero strana! Fingendo di cercare altri sassi, si spostò, avvicinandosi un po’ di più a lui, per ascoltare meglio. Le piaceva il suono di quella lingua … forse perché le faceva venire in mente belle cose: il sorriso e l’abbraccio caldo di mamma, o il profumo dei dolci della nonna, o le barzellette dei cuginetti di Bournemouth!
Il tizio secco e bianco continuava a parlare, tenendo una mano davanti al viso. Si accorse che quella cosa che aveva tra le dita era un piccolo registratore. Chissà perché raccontava a quell’aggeggio dell’isola, del vulcano, della sua città, perfino di quella spiaggia … Baia Alshams … dove si trovavano proprio adesso? Non poteva fare a meno di fissarlo.
E di colpo quello cominciò a parlare di lei.
“… C’è una bambina bellissima che mi ascolta mentre registro queste note e mi guarda …” . Lei si accigliò e si mise a giocherellare, nervosamente, con una ciocca dei suoi capelli rossi. L’uomo adesso la fissava e le sorrideva.
Quindi allontanò il registratore dalla faccia, si sporse appena verso di lei e domandò:
- Vero, bimba, che non mi capisci?
Lei
ebbe un piccolo sussulto. Mollò la ciocca di capelli e si accigliò ancora di
più.
-
Sì che ti capisco! – rispose, in inglese.
(TRATTO DA "STORIE DELL'ISOLA DI G. " - copyright 2023- Grazia Musumeci)
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