I RACCONTI DEL CALENDARIO - marzo
ITALIAN ONLY
Era arrivata in
paese nel tardo pomeriggio di un giorno d’autunno. Aveva preso possesso della
casa – un minuscolo rustico circondato da un fazzoletto di vigneto, entrambi
terribilmente bisognosi di “restauri” – e aveva cominciato subito a lavorare.
Restaurare era
il suo mestiere, in fondo.
Ma una cosa era
farlo per gli altri, un’altra farlo per se stessa.
Era la prima
volta nella vita che aveva una casa veramente sua. Nel senso di… “sua”, proprio,
che la “sentiva” dentro. Aveva vissuto con i suoi fino a venticinque anni, poi
era andata a vivere con Leon a Madrid prima e dopo a Palermo, quindi aveva
vissuto con la sua migliore amica per due anni e poi … suo padre le aveva
regalato una casa. Un due vani delizioso, in centro città, a Catania. Eppure
non si era mai sentita a casa… in nessuno di questi posti.
La decisione era maturata lentamente, poco dopo la morte del papà. Allora era tornata a casa dei suoi per accudire la madre, abbastanza autonoma a dire il vero ma bisognosa di coccole e di consolazione continua. La casa dei suoi era l’unica casa in cui si sentiva davvero se stessa. Doveva solo prendersi del tempo e trovare, da qualche altra parte, un luogo che le desse le stesse sensazioni. E per farlo doveva aspettare… cercare… pensare.
Quel rustico era arrivato per caso. Sorgeva sul retro della casa di un cliente presso il quale era andata a restaurare una vecchia libreria. Mentre lavorava, guardava dalla finestra quella casuzza macerata dal tempo, mangiata viva dai rovi e dalle viti lasciate allo stato brado! Lavorava e guardava, guardava e lavorava. Ed era stato proprio al termine del restauro che il cliente aveva detto, quasi di sfuggita, scusandosi “mi dispiace per il ritardo, vado di fretta, il vicino vende la proprietà e devo aiutarlo a sbrigare carte”.
- Vende la
proprietà? Questa di fronte?
- Sì, il
piccolo vigneto. Non sa più che farsene.
- Lo so io –
aveva risposto lei senza quasi riflettere.
Aveva
acquistato quel rudere per pochissimo. Non valeva più di tanto, in fondo.
Ma appena vi
era entrata dentro, fin dalla prima visita, aveva sentito – oltre all’odore di
muffa e agli scricchiolii del legno vecchio – quella sensazione di “casa” che
cercava da tempo. E vi si era trasferita così, di botto, con solo un sacco a
pelo, una tenda, qualche vestito dentro una valigia e gli attrezzi del
mestiere. Certo avrebbe dovuto farsi aiutare da muratori e architetti, ma
proprio grazie al suo lavoro di restauratrice aveva buoni contatti … sarebbe
stato economico. E comodo. Ma non facile. Questa era la casa perfetta. E non
poteva sbagliare.
Il paese era un borgo di montagna, addormentato sul fianco dell’Etna, che ogni tanto si risvegliava bruscamente con una scossa di terremoto o una pioggia di cenere nera. Il rustico però era solido, costruito su una vecchissima sciara … una lingua di roccia lavica, cioè. I vicini l’avevano accettata (quasi) subito. A parte il cliente che la conosceva e stimava già professionalmente, la famigliola della fattoria vicina l’aveva guardata con sospetto per un mese intero. Poi una mattina la madre si era presentata alla porta con una torta salata ai funghi fatta con le sue mani:
- Benvenuta! –
aveva detto – Serve aiuto?
- Per il
momento no, grazie. Ma semmai …
- Chiedi pure!
Si erano date
subito del “tu”, come si fa tra amici.
E in effetti i
vicini l’avevano aiutata moltissimo. A ripulire la vigna, a sistemare la “saja”
(il canale di irrigazione), a smaltire i rifiuti del restauro. Le portavano da
mangiare se lei dimenticava di cucinare, le custodivano il rustico se lei era
fuori per lavoro … . Quella premura, quella “umanità”, in città era sparita
ormai da tempo! Anche lei dava molto in cambio. Ovviamente aggiustava e restaurava
gratis tutto, per loro. E regalava quei pochi dolci che sapeva preparare.
Un sabato
pomeriggio era rientrata da un viaggio di lavoro – era stata una settimana a
Enna, a iniziare il restauro di un antico altarino! – e aveva trovato sulla
soglia di casa un mazzo di fiori di campo infilato alla meglio dentro un
vasetto di miele vuoto, riempito d’acqua. I vicini si erano ricordati del suo
compleanno, che cadeva il giorno prima, e non trovandola in casa le avevano
lasciato quel dono e un bigliettino con i loro auguri e le firme.
È davvero incredibile, pensò lei
commossa, come ci sia più bellezza nella casualità di un mazzetto di fiori
stravaccato in un barattolo di miele…che in tante cose per cui ci affanniamo,
in città, nel mondo cosiddetto “reale”, dimenticando la nostra anima.
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