RACCONTI 3 - La Cittadinanza dell'Isola di G

 



(ITALIAN ONLY)

Elizabeth ricordava, sorridendo:

- Io accompagnai qui sull'isola di G. alcune migranti, tre delle quali erano incinte e avevano in corso gravidanze a rischio. Decisi di fermarmi fino a che non fossero nati tutti i bambini. Abitavo con loro a Ualmedina e, mentre mi trovavo lì, iniziai a frequentare dei corsi organizzati da alcuni volontari dell’isola. Tra i volontari c’era questo ragazzo bellissimo … Yusef Lauria … 

Julian sorrise mentre Elizabeth arrossiva. Gli occhi le si illuminavano sempre quando parlava del marito. 

- Che ti devo dire? Dovevo fermarmi solo pochi mesi … e alla fine sono rimasta per sempre! Ho terminato gli studi di Medicina a Ualmedina, sono andata a vivere con Yusef a casa della sua famiglia a Porto San James, l’ho sposato, ci siamo trasferiti ad Akdara e … ho chiesto la cittadinanza. 

 - E l’hai ottenuta facilmente? 

- Diciamo che io sono stata un po’ privilegiata, rispetto ad altri. Tanto per cominciare, avevo sposato un cittadino di qui. Poi, ero un medico e avevo dimostrato di essere “socialmente utile” facendo volontariato anche prima di laurearmi, quindi … be’ … partivo con un ottimo punteggio! Per ottenere la cittadinanza dell'isola, gli stranieri devono dimostrare, nell’arco di cinque anni, di essere onesti, lavoratori e generosi. E devono anche superare alcuni test periodici, imposti loro dalle autorità. Se fila tutto liscio, si diventa cittadini senza problemi. 

- E tu problemi non ne hai avuti. – dedusse Julian, sorridendo. 

- Nemmeno mezzo! – esclamò Elizabeth, allargando le braccia. Quindi si alzò e corse a tirare fuori le pizze dal forno. 

- La tua vita sembra una favola – osservò il giornalista, mordicchiando la penna che non aveva ancora usato. Lei scrollò le spalle, mentre sistemava le pizze nel grande piatto di portata, al centro del quale aveva già messo la scodella con il pesto. Julian ebbe la sensazione che fosse sceso un leggero velo di malinconia sulla sua amica e sull’intera cucina. - Le favole non esistono. E la realtà non è sempre bella – disse Elizabeth, con un sospiro. Sollevò gli occhi su di lui – Adottare quei due bambini non è stato semplice. 

- Lo so … 

- Yusef ti avrà detto … 

- Sì, mi ha detto. 

(...) Il ragazzino più grande, Ismail, era già molto alto per avere solo otto anni. Aveva la tipica carnagione abbronzata, i capelli ricci e scuri e i tratti magrebini, ma nessuno sapeva quali fossero le sue vere origini. La sua madre biologica era stata trovata in coma, soffocata dai fumi della stiva, su un barcone affollato di migranti nordafricani poco prima che affondasse davanti alle coste siciliane. Ricoverata prima a Catania e poi all’ospedale di Akdara, era morta senza mai riprendere conoscenza. Il bambino era stato fatto nascere prematuramente, per salvargli la vita, ed era stato poi affidato alla tenera dottoressa Lauria e a suo marito che si erano resi disponibili ad accoglierlo. (...) La piccola Layla invece era arrivata in famiglia da poco. Di età incerta, probabilmente minore di due anni, viaggiava senza accompagnamento affidata ad una donna sconosciuta, insieme ad altri quaranta migranti dell’Africa centrale. Era affetta da una grave patologia agli occhi che la rendeva quasi cieca e per questo era stata trasferita subito a G,  molto all’avanguardia per le cure oculistiche. Dopo essere stata operata con successo, era stata seguita nella convalescenza da Elizabeth Lauria. Né lei né Yusef avevano saputo spiegare cosa li avesse conquistati … non era certo la prima bambina che curavano o assistevano come volontari, non sarebbe stata nemmeno l’ultima, ma lei aveva qualcosa di speciale. Era come se fosse nata apposta per diventare figlia loro. E così avevano adottato pure lei. 

(tratto da STORIE DELL'ISOLA DI G., copyright Grazia Musumeci 2023)

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